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La ripartenza di BA Classica


MOZART Sonate K 331, K 332, K 457, K 545 pianoforte Roberto Prosseda

BEETHOVEN Quartetto op. 132 Quartetto Adorno

BA Classica, Teatro Sociale e Teatro San Giovanni Bosco di Busto Arsizio, 29 maggio e 4 giugno 2021

Tornerà il pubblico dopo la pandemia? Come ricostruire il rapporto tra chi organizza, chi suona e chi ascolta? La domanda-chiave di questo quasi post-apocalisse trova una risposta sia nei primi dati delle prevendite per i festival estivi (piccoli e grandi), che sembrano positivi, ma anche e soprattutto frequentando le stagioni musicali fuori dai grandi centri: la provincia, insomma. BA Classica giunge alla quarta edizione e continua a portare in una città piuttosto grande come Busto Arsizio, ma dalla vita musicale non sempre ricca, una serie di appuntamenti di altissima qualità: l’ingresso è libero, certo, la capienza delle sale ovviamente ridotta, ma la partecipazione del pubblico è numericamente alta e qualitativamente appassionata. E il sostegno della città, a partire dalla sua amministrazione, evidente e tangibile. Anche perché gli artisti che arrivano, e che hanno ormai stabilito un legame con la città (penso a Ramin Bahrami, che domani chiuderà l’edizione 2021) hanno ben presenti le esigenze che, nella nostra rivista, sono state lungamente esposte da Piero Rattalino (e anche da Sol Gabetta): suonare bene non basta, paradossalmente non serve più. La musica “giusta” si fa anche con le note “sbagliate”, se si trova un modo per commuovere e interessare il pubblico, per stabilire un legame che non può più essere quello dell’esibizione culturalmente impegnata: meno docere, più delectare e movere.

Simbolo di questo approccio è Roberto Prosseda, visibilmente emozionato nel tornare a suonare in pubblico dopo mesi: il suo Mozart, che conosciamo dall’integrale Decca, fa a pezzi ogni ideale di apollinea classicità per vivere di un incessante alternarsi di umori, psicologie, in un modo che non solo è fortemente teatrale, ma intensamente umano. Prosseda varia la linea melodica, improvvisa, si abbandona all’intuizione dell’istante: e pazienza se questo gli costa qualche piccolo incidente digitale, persino nella carognissima Sonata “facile” in Do maggiore. Il temperamento mesotonico scelto per il bel pianoforte Yamaha in realtà non si avverte più di tanto, se non per la maggior “speziatura” armonica nei movimenti lenti, resi più instabili e quasi unheimlich, perché in effetti ci vorrebbe uno strumento storico per compiere un vero percorso di recupero delle accordature originali: ma è nondimeno un altro ingrediente che compone una serata riuscitissima, che ha educato un pubblico presumibilmente poco avvezzo a questo repertorio e l’ha commosso.


Quasi timido nell’approccio verbale, nelle poche parole in apertura del primo violino Edoardo Zosi, è sembrato il Quartetto Adorno che, qualche giorno dopo, in un bel teatrino di periferia recentemente restaurato ha proposto un monumento della musica occidentale come l’op. 132 di Beethoven, con la sua quasi metafisica “Canzone di ringraziamento”: impressione subito smentita, perchè questi quattro giovani musicisti hanno mostrato un’altissima qualità di pensiero, un’intesa perfetta, un fraseggio coraggioso e insieme chiarissimo nell’intrico contrappuntistico. Non cercano mai un’astratta bellezza di suono, non è quello che troveremo ascoltando l’Adorno (lo conferma anche il bis: il Presto dall’op. 130, brusco e indiavolato), ma un’intima adesione alla modernità, alla bruciante urgenza della scrittura beethoveniana. Che è quella che ci parla ancora oggi, ricordando la nota frase attribuita a Beethoven: “suonare una nota sbagliata è insignificante; suonare senza passione è imperdonabile”.

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